di Toni Farina
Alla fine, non saprei dire se sono più insidiose le gallerie nelle gorges du Guil, il chilometro sulla route national o la pâtisserie di Arvieux. Rischio di essere arrotati nei primi due casi, di colesterolo e glicemia nel terzo.
A parte ciò, l’impressione generale alla fine di questi quattro giorni in bicicletta è quella lasciata dai vasti orizzonti, dalle vigorose brezze e dai cieli blu-intenso tipici del Briançonnais.
L’Izoard è un classico della bici (e della moto: ma perché sono così rumorose?). E un classico è l’anello, la boucle: Briançon, Guillestre, Arvieux, Col d’Izoard, Cervières, Briançon. Lo dimostra il gran numero di ciclisti che si incontrano sul percorso.
Un centinaio di chilometri, 1900 metri di dislivello, si uniscono le Parc National des Ecrins e le Parc regional du Queyras. Natura protetta di Francia. La gran parte dei ciclisti lo fa in giornata, ma c’è da pedalare, spesso contro vento. Poco tempo per gustare i cieli blu e gli ampi orizzonti.
Da cicloturista quale sono (molto turista) ho addirittura optato per quattro giorni. Una vacanza insomma. Non ditelo in giro… E non dite quanto è bella la Cerveyrette, sontuosa variante per il quarto giorno.
Primo giorno: Valle della Durance
Briançon, il timore del meteo ballerino è fugato fin dalla partenza. Anche le Alpi francesi hanno pagato dazio alle piogge torrenziali di questa estate tropicale, ma di là dal Monginevro ci attendono sparute nuvole e ampi spazi di sereno. Domani, 2 luglio, su questa strada transiterà il Tour, la Grande Boucle, ma la direzione di Pogaciar, Vingegard e compagni è a nord: Lautaret, Galibier, altri colli, altre storie. Altre fatiche. Altri tempi, e poco tempo per cercare con lo sguardo dettagli e lontananze. Dei quattro giorni in programma questo è l’unico che prospetta incognite di itinerario. Ma fin da subito i segnavia verdi indicano la giusta via, la migliore.
E non mancheranno belle sorprese: quel che si ipotizzava come un fastidioso trasferimento da Briançon a Guiilestre si rivela invece come il giorno più “viaggioso”, una lunga terrazza a saliscendi sul versante destro dell’ampia Valle della Durance. Traffico motorizzato quasi nullo (più bici che auto) e continuo variare di scorci accompagnano a Les Vigneaux, porta d’accesso agli Ecrins. Ailefroide, Pelvoux, montagna alte e selvagge, Gervasutti il Fortissimo se ne intendeva. Calati sul fondovalle si ritrova la Durance ad Argentiere la Bessée. I bistrot sulla piazza centrale esortano a una sosta caffè. Costa di più che in Italia, ma si può fare, anche perché subito dopo c’è da arrampicare.
È tosta la rampa che riporta in altro, a Pallon, 300 metri di dislivello con pendenze a due cifre, ripagati al termine da un magnifico view point sulla Durance. A mezzogiorno, Mont Dauphin, è una malia. Poco oltre si intuisce l’ingresso nella Valle del Guil, ma c’è ancora da pedalare.
Pallon, frazione di Champcella. Poche case e, fra queste, l’Auberge la Dormilhosa, un nome, un programma. Dopo la salita, impossibile non sostare. La quiete del luogo (unico rumore, il vicino torrentello) invita a passar qui la prima notte, la tentazione è forte, ma l’Auberge è soggetto a lavori, per cui si prosegue.
Lunga discesa per tornare sul fondovalle e, attraversata la Durance, portarsi a Saint Crépin, grazioso borgo sul versante sinistro della valle. Se la tentazione di pernottamento è stata ricacciata, impossibile resistere alla locale boulangerie. Mal ci incolse: a Saint Crépin perdiamo i preziosi segnavia e chiediamo informazioni alla boulangé che, ovviamente, ci sconsiglia la nazionale e ci indirizza a lato della Durance su una sterrata. “Tres jolie”, ci dice. Mah, sono perplesso e, infatti, lo sterrato non è proprio il massimo per bici con sacche da viaggio.
Optiamo così per la trafficatissima nazionale fino al primo incrocio dove torniamo su stradine che zizzagano in zone residenziali. Si va seguendo l’intuito con Mont Dauphin di fronte a fare da riferimento. Dopo un’ultima salita l’arrivo sul poggio che ospita lo storico insediamento accompagnati dalla luce del tardo pomeriggio è un momento epico. Esagerato? Forse, ma bello di sicuro. Il divieto di accesso ai mezzi motorizzati all’interno delle mura completa il tutto: Guillestre non è lontana, ma non c’è ragione di proseguire. Gli alberghetti nella via centrale sono un chiaro invito a passare qui la notte. Protetti da solide mura.
Giornata luminosa e ventilata il giusto. Consulto la mappa, chiedo informazioni: “è possibile raggiungere Guillestre senza scendere alla Durance, nella valle principale?”. Sì, si può, concordano la mappa e la giovane titolare dell’albergo.
A poche pedalate c’è Guillestre, vivace cittadina alla confluenza della Valle del Guil nella Durance. La sosta caffè è necessaria per affrontare con i sensi ben desti il tratto successivo: les gorges du Guil. Adrenalina, signori. Momenti d’ansia nel passare la successione di gallerie tallonati da moto, auto e, per l’occasione pure un paio di TIR. Luci posteriori belle vivaci, si raccomanda.
L’adrenalina farà parte del gioco, e talvolta è anche un escamotage turistico, ma qualche misura per la sicurezza dei (molti) ciclisti i cugini d’oltr’alpe potrebbero anche adottarla. Le gallerie si passano in lieve discesa e questo è buona cosa. In lieve discesa è anche il tratto successivo, dove finalmente la valle si apre e inizia un lungo tratto dove il rombo delle moto si sovrappone talvolta a quello del Guil, oltremodo vivace e spumeggiante. Per i canoisti s’impone l’attesa: troppi rischi ora. La salita prosegue lieve e pressoché costante.
Ignorate le vie per Ceillac e, poco dopo, per il Colle di Vars e l’Ubaye, si giunge al punto in cui si lascia il solco principale per imboccare la valle di Arvieux, appartato angolo di Queyras. È questa la meta odierna. Si cambia direzione, da est a nord, e si sale.
Un paio di tornanti e un’ampia radura con una cospicua stele fornisce l’occasione per una sosta di riposo e riflessione. Il lungo elenco di soldati morti esorta a chiedersi il senso di tante cose. Le guerre, i confini, l’Europa che fatica a essere unita per davvero.
Per la Francia è tempo di votazioni, lecito chiedersi se tornerà il tempo in cui per passare il Monginevro occorrerà fermarsi per controllo documenti. Lunghe code alla frontiera (frontiera?). Fa ben sperare il fatto che quest’anno il Tour sia partito dall’Italia. Il sole continua a splendere, ma la brezza fresca e vivace agevola il salire. E si sale davvero. Usciti dal bosco la valle si apre in un trionfo di verde e azzurro. La strada di esibisce in lunghi drittoni, ma Arvieux non è lontano.
Tipico borgo del Queyras, come tipica è la pâtisserie sulla piazzetta. Dopo la route national e le gallerie nelle gorges, ecco un’altra insidia, un altro rischio. Questo però lo corriamo volentieri, e non siamo gli unici, altri pedalatori ci fanno compagnia nel dehor. Altri pedalatori ci accompagnano nell’ulteriore chilometro che ci separa dalla meta di giornata: La Chalp, borgata di Arvieux. La loro meta al contrario è ancora lontana e in mezzo un ostacolo che si chiama Izoard. Ma le giornate di inizio luglio sono lunghe. Bon voyage!
Terzo giorno: Izoard!
Qualche nuvola vela il cielo, il sole si limita a timide comparse sulle cime. L’avvio è un drittone che conduce a Brunissard, ultimo borgo del Queyras. Sulla sinistra, il pascolivo Vallon de Clapeyto, con gli omonimi chalet di montagna, riporta ad anni addietro a un’escursione con gli sci e le pelli di foca.
Diversa stagione, diversi “mezzi di trasporto”. Finisce il drittone e si inanellano tornanti, in basso sprofonda la valle. Molte bici, altrettante moto (rumorose!). Per tutti c’è, imperdibile, la sosta alla Casse Déserte, con i suoi impressionanti ghiaioni. Déserte come ambiente spoglio di vegetazione, ma assai affollato.
Selfie e foto ricordo vanno a manetta nel view point all’inizio di
questo iconico cirque. Il colle è ben visibile di fronte, qualche
tornante ancora da salire. Ma ci si attarda qui in attesa di un raggio di sole che, sfuggito alle nuvole, illumini di luce radente le colate di pietrisco.
Poi, con un velo di ansia, si torna in sella per intrufolarsi in questo angolo selvaggio e “poco attraente”. Anche qui il ricordo va a un transito con gli sci ai piedi di ritorno da
una salita al Col d’Izoard d’inverno (neve sicura, si raccomanda).
Quel giorno di inizio gennaio sul colle tirava un vento gelido, non così oggi ed è per questo ci si attarda in folta compagnia davanti alla stele a quota 2360: l’Izoard è il mito.
Aurevoir Queyras, si torna nel Briançonnais, la bucolica Valle di Cervieres. Che, tempo di calare qualche tornante, offre la soluzione per la sosta pranzo: Refuge Napoleon. È passato anche quassù. Mani sui freni, strada perfetta ma ripida. Non appena il bosco cede
spazio al pascolo ecco Le Laus, borgata di Cervières dove trascorreremo
la notte.
L’auberge si chiama Arpelin, come la montagna qui sopra, assai frequentata d’inverno, quando la neve copre la strada per il colle.
Inverno è stagione in cui a Le Laus c’è più trambusto che d’estate, ma verso il colle al rombo dei motori e al cigolio dei freni subentra il più gentile fruscio di sci sulla neve. La strada diventa una pista per fondisti, ciaspolatori ed estimatori degli sci con le pelli. La Valle di Cervières ha trovato il suo oro bianco. Alla sera, il Pic de Rochebrune trova il suo tramonto.
Quarto giorno: Cerveyrette
Una giornata radiosa per ritrovare Cerviéres. L’ultima volta risale ai primi anni ’80, quando scoprimmo il luogo grazie a un articolo su La Rivista della Montagna: “Dicono no a Super-Cervières”, il titolo, autore Giovanni Zanetti. Un no forte e deciso a una mega stazione invernale di sci: 15000 posti letto e una ragnatela di impianti stesi sugli splendidi pascoli di questa zona delle Alpi francesi, unica per estensione.
Un No pronunciato da una coesa comunità di pastori, agricoltori di alta montagna che volevano continuare ad essere tali.
Questo comune a 1650 metri di quota diventò un caso sociale e politico. I paysan di Cervières condivisero in tal modo la stessa esperienza dei loro vicini della Clarée, la Valle di Névache, dove un No altrettanto convinto fu rivolto a un’autostrada.
Stesse furono anche le scelte di futuro, stesse strategie di offerta turistica che oggi, con questi cambi di clima, si rivelano le uniche capaci di futuro. Ritorno a Cerviéres dunque.
Per scoprire con piacere che poco è cambiato. Il paese ai piedi degli aperti pendii dello Chenaillet e della Gimont, quasi interamente ricostruito dopo il bombardamento e l’incendio a opera dei nazisti tedeschi nel 1944, ci accoglie dopo una breve discesa.
Il verde al posto del bianco della neve, la splendida Chiesa di Saint Michel sopra l’abitato, e la Cerveyrette, la valle che si distende verso il Queyras.
La strada (asfaltata dal 2016) sale tortuosa, ma una volta sulla piana di Bourget la prospettiva si schiude su una straordinaria sequenza di prati e pascoli: è qui, sugli aperti pendii della Dormilleuse, che si dovevano tracciare le piste e installare gli impianti.
“Vous avez réservé?”. “No….”. Acc… Seguono attimi di sospensione, ma infine il posto si trova. Non c’è fretta. Il ritorno è una piacevolissima planata con le cime cristalline degli Ecrins sull’orizzonte. E da ultimo c’è la discesa a Briançon nella luce del tardo pomeriggio.
Aurevoir!
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